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Pietro Bangher: un piccolo brigante
ingigantito dalla tradizione popolare


Il brano che segue è tratto da: "Una casa e quattro donne valsesiane", di G.C. Marchesi, Valsesia Editrice, Borgosesia, 1993. L'intera vicenda del Bangher si trova ancor più dettagliatamente riportata nel volume: "Bangher e altre storie", di Enzo Barbano, Idea Editrice, Borgosesia 1996


Nei primi anni che avevano fatto seguito all'Unità d'Italia, e durante il primo decennio del secolo scorso, anche la Valsesia subì gli effetti di quel fenomeno del brigantaggio che aveva trovato nelle regioni meridionali della penisola il suo terreno più fertile e le sue manifestazioni più estese.
Ma a differenza del Sud, dove le attività dei briganti potevano ricondursi (o si è voluto far credere che si riconducessero) anche a motivazioni di carattere socio-politico, la Valsesia espresse casi del tutto particolari, frutto più di circostanze individuali favorevoli che non di spinte ideologiche di tipo rivendicativo nei confronti delle autorità di governo.
In sostanza, si trattò di un fenomeno in un certo senso ricollegabile ad altri casi, pressoché analoghi, verificatisi in Emilia-Romagna e in qualche altra regione del Centro e del Nord Italia. Ma neppure la Valsesia si sottrasse al forte stimolo di trasformare, nel tempo, le gesta dei briganti in leggenda, ingigantendo i fatti, donando ai personaggi il dono dell'ubiquità e dell'invincibilità, facendoli diventare a volte angeli ed a volte diavoli e, infine, utilizzandoli anche quale sottile deterrente contro le bizze dei bambini più capricciosi.

Nella Media ed Alta Valsesia scorazzò, a cavallo fra l'800 e il '900, un bandito di nome Pietro Bangher, fuggito dal Trentino, dove era nato nel 1850 e dove aveva già accumulato vari reati contro il patrimonio. E' curioso notare come, a suo tempo, anche fra Dolcino avesse iniziato la propria "carriera" proprio nella provincia di Trento, regione di nascita, fra l'altro, pure della sua compagna, suor Margherita Boninsegna.

Il "terreno di caccia" preferito anche dal Bangher abbracciò, nella Valsesia, le zone di Scopello, Piode, Rassa e Mollia. Qui, favorito dall'asprezza dei monti e da una certa condiscendenza e omertà di taluni valligiani, potè compiere le sue più clamorose scorribande, razziando le casère (baite in cui si producevano il burro e il formaggio) di alta montagna, incendiando i fienili dei delatori, stuprando giovani e più o meno innocenti contadinelle, gozzovigliando nelle osterie e attaccando briga con mezzo mondo.

La sua fama, accresciuta dall'incapacità delle forze dell'ordine di assicurarlo rapidamente alla giustizia, crebbe di giorno in giorno, assegnandogli il fascino dell'imprendibilità e facendogli attribuire una catena di misfatti che, per la concomitanza con cui si verificarono e per le distanze dei luoghi in cui avvennero, sarebbero stati di impossibile attuazione da parte di una sola persona. Evidentemente a quel tempo in Valsesia non c'era solo il Bangher a compiere misfatti vari, ed altri fuorilegge, meno famosi di lui ma altrettanto assetati di denaro e di giovani donne, lasciarono che il "merito" fosse attribuito tutto e soltanto a Pietro Bangher.

L'uomo, che nella sua vita "professionale" non venne mai accusato di alcun fatto di sangue, divenne così il terrore dei viandanti, il "principe azzurro" degli inconfessati sogni erotici delle giovani valligiane, il tema ricorrente nelle conversazioni dei salotti-bene di Varallo e, alla fine, l'eroe di una delle tante leggende della Valle. Nel gennaio 1900 fu infine catturato, processato nel Tribunale di Varallo ed imprigionato in varie carceri del Regno d'Italia, dalle quali ne uscì nel 1910 per essere riconsegnato ai gendarmi austriaci.

Anche se non fu mai provato il suo effettivo ritorno in Valsesia, per sei o sette anni ancora venne segnalata la sua presenza nella Media Valle, e gli vennero attribuiti altri furti e altre rapine che comportarono nuove condanne in contumacia. Dal 1818 in poi l'interesse ufficiale sul Bangher andò via via scemando, sino a cessare del tutto.La fantasia dei Valsesiani tuttavia lo rivide di nuovo sui loro monti, alto, possente, con la lunga barba nera ed un cappellaccio "alla francese", saltare come un camoscio di vetta in vetta, eterno cacciatore di fanciulle, razziatore di baite e di cascine, gran bevitore e castigatore dei cattivi.
In realtà, i suoi rilievi antropometrici, presi dalle forze dell'ordine al momento della sua cattura, lo davano alto meno di un metro e settanta, con un peso di soli 68 chilogrammi.

Evidentemente la Valle aveva bisogno di un suo Superman, e se lo creò. Ancor oggi si incontrano anziani che affermano di averlo conosciuto o, quanto meno, di averne seguito le gesta attraverso le testimonianze dei loro genitori. Trapela da questi racconti un senso di rispetto e, in un certo senso, di ammirazione nei confronti di questo òm salvàig (uomo selvaggio) che scorazzava libero e indisturbato per monti e per valli. E qualche maligno sussurrava che nei volti di taluni abitanti dei paesi del fondovalle, particolarmente presi di mira dal "terribile Bangher", si potessero riconoscere i suoi tratti somatici, così come tramandati dai pochi ritratti fotografici che lo raffiguravano.