Boletus edulis
(Racconto di Gian Cesare Marchesi ©)

Il boletus edulis, comunemente noto come fungo porcino, cresce nei boschi di latifoglie e di conifere, ai piedi dei castagni, ai bordi delle radure e fra le zolle di muschio umidificate dalla rugiada di fine estate. Questo è ciò che viene più o meno descritto nelle pagine patinate e riccamente illustrate dei più diffusi manuali sulla ricerca dei funghi e che invita il fine settimana schiere di animosi individui a invadere le pendici dei monti, armati di bastoni, rastrelli, coltelli a serramanico, sacchetti di plastica, radioline portatili (per non perdersi la partita di calcio), siero anti-vipera, lattine di birra e confezioni di cioccolato energetico. Queste ultime avrebbero il triplice scopo di rigenerare le forze spossate dalle lunghe camminate, di sostenere il cuore dopo il secondo goal subito dalla squadra più amata e di potere gettare la plastica che le avvolge proprio nel bel mezzo di un ciuffo di ciclamini, con somma gioia dei ciclamini stessi e degli ecologisti.
Il porcino è anche definito il re dei funghi ma, come per gli altri più o meno blasonati regnanti, sembra essere destinato a diventare sempre più raro. Almeno per quanto mi riguarda più direttamente.
Cammino, anzi mi arrampico affannosamente, ormai da più di due ore lungo le scoscese pendici del monte alla ricerca infruttuosa dell'ambito oggetto del desiderio e comincio ad avvertire un certo senso di disagio e di irritazione. La punta del mio bastone, che uso come un pendolino da rabdomante, ha rovistato con cura attorno a cinquantasette alberi di castagno e a non meno di un centinaio di cespugli di felci, e le suole dei miei scarponi sono scivolate tre o quattro volte sulle foglie secche, facendomi rotolare per alcuni metri verso valle per finire quindi rovinosamente col fondo schiena proprio sopra gli immancabili ricci di castagne.
I rami bassi e rinsecchiti di taluni abeti si sono impigliati già due volte nei miei occhiali, facendoli cadere e costringendomi a una loro disperata ricerca fra cespugli di mirtilli e di more. Uno di quei rami secchi mi ha anche procurato una lacerazione sulla manica destra della camicia e da un certo alone rossastro che sta comparendo attorno allo strappo deduco che anche il mio avambraccio abbia subito l'effetto dello sfregamento. Per non parlare di quegli odiati tafani che mi ronzano intorno da quando mi sono messo in cammino, attirati dal desiderio libidinoso di gustare il sapore di questo essere umano arrivato fresco-fresco dalla città.
Ma proseguo ancora nella mia speranzosa ricerca.
Si dice che il boletus edulis cresca abbastanza copioso nel periodo fra agosto e settembre. Trovandomi appunto nel tempo citato nei manuali, dovrei per forza incappare in questa prelibatezza.
Nel bosco ho già rinvenuto svariati curiosi reperti, fra cui un accendino Bic completamente scarico, alcuni fazzoletti di carta che coprono un ben definibile residuo organico circondato da grosse mosche, una bottiglia di birra semi affondata fra le foglie (che da lontano mi era parsa la cappella di un fungo sconosciuto), un catenaccio arrugginito, una cassetta di legno con la marca di un produttore di agrumi e alcuni sacchetti di plastica dei supermercati ricolmi di piatti usa-e-getta maleodoranti e di lattine vuote di bevande gassate.
Ho anche notato, qua e là, prelibati lactarius delicious spezzati e rovesciati per terra, ottimi lycoperdon perlatum accuratamente calpestati e altri gustosi prodotti del bosco sistematicamente distrutti dalla schiera di cercatori che mi hanno evidentemente preceduto. Non è stato risparmiato nulla, avendo condannato alla decapitazione immediata qualsiasi specie micologica che non avesse la ventura di appartenere al genere boletus e, in particolare, alla specie edulis. Ma del famoso porcino non v'è alcuna traccia.
Occorrerebbe forse mettersi alla ricerca di buon mattino, anticipando quanto più possibile le orde d'invasori, ma la mia innata pigrizia mi consente di mettermi in cammino solo a metà giornata, costringendomi così a rivivere, in un certo senso, le sensazioni di profonda tristezza provate nel lontano 1859 dallo Svizzero Dunant mentre percorreva le campagne di Solferino disseminate di combattenti caduti nel corso della famosa battaglia.
«Non c'è ancora la luna giusta e poi, l'inverno scorso c'è stata poca neve», aveva affermato ieri mattina giù al paese Silvano, il mio simpatico vicino di casa che, essendo "indigeno" e non "villeggiante" come me, di queste cose se ne intende. Ma, mentre lui così sentenziava, mi era parso di notare la sagoma sfuggente di suo fratello Matteo che rientrava frettolosamente in casa con un vistoso sacco di tela sulle spalle, dal quale emanava un inconfondibile profumo di funghi. E considerato che da queste parti l'unica specie micologica degna di considerazione è il porcino, la faccenda della luna e della neve non mi aveva particolarmente convinto. Se non altro, speravo che qualche esemplare fosse sfuggito alla pur attenta ricerca di Matteo e degli altri concorrenti che mi avevano preceduto, lasciandomi la soddisfazione di mettere le dita vogliose attorno a un corposo gambo di boleto. Uno solo mi sarebbe bastato, almeno per salvaguardare nei confronti di mia moglie e dei miei amici villeggianti l'immagine di "accanito cercatore di funghi".
D'altro canto, i soliti bene informati ripetono che mai nessuno abbia potuto assistere alla nascita e alla crescita di un porcino: «Non si sa quanto tempo ci mettano a spuntare dal terreno; poi possono crescere anche in poco tempo, quando uno meno se l'aspetta».Se questa tesi fosse esatta, esisterebbe teoricamente la possibilità di fare qualche interessante incontro. Ma la realtà sembra invece fugare per me qualsiasi speranza di successo.
Rimane allora la possibilità di ripiegare su qualcosa di alternativo, dalle more e dai lamponi per preparare buone marmellate, alle pigne secche cadute dagli abeti, che pur non essendo per nulla commestibili possono sempre essere utilizzate nel caminetto per rallegrare le serate invernali o, opportunamente colorate, per abbellire l'albero di Natale.
Occorre accontentarsi e comunque esiste anche l'eventualità di ridiscendere al paese, entrare nella bottega della Teresa e per la modica cifra di quindicimila lire acquistare una bustina da venti grammi di porcini secchi della Valtellina, d'annata e garantiti privi di aggiunta di melanzane secche.
Potrebbe essere così assicurato per domani un ottimo risotto ai funghi e la mia cara consorte avrebbe la possibilità di ricordarmi, ben s'intende simpaticamente, che «Hai speso un sacco di soldi per acquistare una montagna di libri sui funghi, per poi non trovare mai nulla di buono, mentre "tutti gli altri", i porcini li trovano. In compenso, hai strappato una camicia quasi nuova e ti dovrò togliere ad una ad una, con la pinzetta del mio manicure, tutte le spine di castagno che ti si sono infilzate sul sedere».